Akai MPC Key 61
Scena 1 – Hard funk. Stacco sul protagonista, che si fa in quattro.
In realtà ho voluto ricamarci su una piccola gag dal sapore cinematografico, però l’essenza della Akai MPC Key 61 è racchiusa nel multi-Enzo che apre la scena.
Lo strumento è infatti autosufficiente, ha all’interno tutto quanto occorre per creare musica ed è perfettamente programmabile.
Così, all’utente resta solo il compito di studiarne i contorni, reperire toni, lasciare il giusto spazio alla fantasia. I suoni sono solidi, bene articolati, le sfumature audio sono apprezzabili.
Pur trattandosi di una “stazione di lavoro”, cito il Nostro, un articolo nato per integrare i pregi dei due mondi – tecnologico e musicale – in un unico elemento ed al meglio delle possibilità, la pasta dei temi e dei preset risulta godibile per buona parte degli stessi.
Il comparto software è piuttosto reattivo, carica i suoni con facilità e senza grandi attese, cosa che in live fa certamente la differenza e ne permette la fruizione.
L’MPC Key 61 nasce sotto un progetto orientato a farne una sorta di studio portatile che inglobi le funzionalità, assortite e di buona fattura, con cui editare un brano nella sua interezza. Sono quindi presenti drum set, campionamenti di basso, archi, cori, e tutto quanto può servire per stare in studio di registrazione senza… essere in studio.
Una considerazione a latere, personale, vede i plug-in di piano avvantaggiarsi sugli altri; per complessità timbrica e per piacevolezza della resa è mio pensiero siano leggermente più interessanti degli altri, pur chiarendo che si è innanzi ad una qualità generale senza dubbio alta.
Scena 2 – Alta tensione. Ritmi tesi, inquietudine.
L’Akai si destreggia bene anche nelle colonne sonore (ma si, sempre là si va a parare quest’oggi!) a metà del video Enzo delizia con un assaggio delle potenzialità del mezzo e dei suoni, tra l’altro – dimostra nel mentre – programmabili e con un ampio ventaglio di parametri a disposizione, oltre ad effetti di ambiente, drive e sino alle modulazioni.
Tutto questo tramite l’interfaccia del touch screen, che risulta sufficientemente reattivo ed offre un’esperienza d’uso abbastanza intuitiva e comoda.
Un ulteriore rilievo, a chiusura, attiene ai tasti, i quali restituiscono un buon feeling benché non siano pensati per un preset (o gruppo in particolare), potendo ad ogni modo risultare godibili in media per tutti gli usi rinvenienti dai suoni a bordo.
Il delay sta ancora riecheggiando negli studi di Synth Cloud, ogni tanto ci si affaccia nella stanza per chiedere se gradisce un caffè.